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The Tomb of Harwa, Egypt (TT37) Active
Archeological SiteAttivita’ delle
Qurnah, November 8th, 1997Ottobre - Novembre 1997 La campagna archeologica delle Civiche Raccolte Archeologiche di Milano nella Tomba di Harwa (Tomba Tebana 37) è iniziata il 19 ottobre e ha avuto termine l’8 novembre 1997. Scopo principale era quello di proseguire il lavoro di restauro e ripulitura delle pareti della Seconda Sala Ipostila, cominciato l’anno passato, e di iniziare a rimuovere lo strato di detriti che ingombrano il pavimento della Prima Sala Ipostila. La missione era composta
da: Francesco Tiradritti (direttore ed egittologo), Rosanna Pirelli (egittologa),
Ilaria Perticucci (restauratrice), Franco Lovera (fotografo), Sandro Senni
(Architetto) e Giacomo Tiradritti (amministratore).
Qurna, 8 novembre 1997 Francesco Tiradritti
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Archaeological
Activities
Attivita’ archeologiche
All’inizio della campagna di scavo 1997 la Prima Sala ipostila risultava
uniformemente coperta da uno strato di detriti di altezza variabile tra
i trenta e gli ottanta centimetri. Si trattava soprattutto di frammenti
di calcare provenienti dal crollo del soffitto. Vi erano inoltre molti
blocchi con testi geroglifici provenienti dalle pareti e dalle due file
di pilastri che un tempo dividevano l’ambiente in tre navate.
Lo scavo ha avuto inizio dalle sale secondarie che si aprono lungo il lato settentrionale e meridionale della sala stessa. Si è agito in tale maniera per creare una serie di spazi dove immagazzinare i frammenti di calcare decorati che venivano recuperati nel corso dei lavori. A questo scopo, nel corso della campagna 1996, erano già stati liberati gli ambienti S1, S2 e S5. Vicino all’entrata
della camera sussidiaria S3 è stata scoperta una sepoltura disturbata
di cui facevano parte due vasetti, una coppetta (con resti di cibo all’interno)
e uno scarabeo in calcare di rozza fattura. Situazione analoga è
stata riscontrata anche nella camera S4 dove, associati ai resti di alcune
ossa, sono stati rinvenuti alcuni oggetti che sembrerebbero far parte di
una duplice sepoltura: due balsamari in vetro azzurro dal collo molto lungo
(uno parzialmente fuso), due vasi in terracotta identici (di uno restano
soltanto due frammenti), un balsamario in vetro ossidiano completamente
fuso e una lucerna del tipo “arms and frog” (fig. 1).
Nella camera sussidiaria
N2 è stato rinvenuto un grande numero di frammenti di ceramica,
appartenenti a varie epoche della storia egiziana. Ciò induce a
ritenere che l’ambiente sia stato utilizzato come una sorta di discarica
per vasi rotti. Nell’angolo SE, a livello di pavimento, sono stati rinvenuti
una coppetta completa ed un balsamario in vetro trasparente, parzialmente
fuso. Potrebbe trattarsi dei resti di una sepoltura risalente ai primi
secoli della nostra era. La sua scoperta indurrebbe a datare i frammenti
di vaso che riempivano l’ambiente ad un’epoca posteriore. Tra questi è
degno di nota un coperchio (o un piattino utilizzato come tale) su cui
è tracciata ad inchiostro una linea di iscrizione ieratica che reca
una datazione (mese, stagione e giorno), forse riferita al momento confezionamento
del recipiente che coperchio tappava.
Una volta svuotati
una parte degli ambienti sussidiari si è potuti passare allo scavo
della Prima Sala Ipostila. Per il momento, il settore più vicino
all’entrata è stato tralasciato, perché ingombro di frammenti
di iscrizioni e statue di notevoli dimensioni, provenienti da altri monumenti
delle necropoli tebane (tempio funerario di Mentuhotep II Nebpehetyra,
tomba di Pabasa) e qui depositati dal Servizio delle Antichità egiziano
al fine di preservarli dai furti. I lavori nella Prima Sala Ipostila sono
proseguiti fino al completo sgombero della parte centrale della stessa.
(Fig. 3).
Nella navata settentrionale
è stato posto in luce un crollo che aveva interessato un’ampia porzione
del soffitto. Alcuni frammenti di calcare recano ancora tracce della decorazione,
costituita da strisce rosse su sfondo dipinto in un azzurro di due tonalità
diverse. I pezzi scoperti non sono però sufficienti per comprendere
il disegno complessivo.
Su alcuni frammenti
di pilastri sono state scoperte le figure delle personificazioni femminili
delle Ore del Giorno e della Notte e di alcune divinità maschili.
Tra queste (da identificare con i demoni-guardiani della Ore), una a testa
di ariete si ripete sui pilastri sia della fila settentrionale (Fig. 5)
sia di quella meridionale.
Testi geroglifici menzionanti
la VII, la IX (Fig. 6) e la XII Ore della Notte sono venuti alla luce in
corrispondenza dei resti dei pilastri meridionali. I dati forniti dal rilevamento
dell’esatto luogo di ritrovamento di ogni frammento sembrerebbero indicare
che il testo si sviluppava da ovest ad est. Questa particolare disposizione
consente di ipotizzare che le iscrizioni siano state trascritte sui pilastri
in modo da seguire il cammino del sole nell’Oltretomba, dove l’astro sorge
ad ovest e tramonta ad est.
Nella navata settentrionale
della Prima Sala Ipostila è stata rilevata una situazione archeologicamente
ben stratificata. Le ampie lastre di calcare del soffitto ricoprivano,
sigillandolo, uno strato di resti umani, poveramente conservati, misti
a calce. Tale situazione testimonia un periodo di epidemia, la cui datazione
è estremamente difficile, data l’assenza di qualsiasi oggetto di
corredo. Le tracce di questa epidemia sono già state rilevate altrove
nella necropoli tebana. Al di sotto di questo strato, a livello di pavimento,
sono stati scoperti i resti di sepolture con poveri corredi funerari. Il
gruppo di oggetti conservatosi in migliore condizioni (probabilmente da
considerarsi intatto) è stato rinvenuto nell’angolo NE del Quadrato
I.D2. Quattro vasi in ceramica, un balsamario in vetro trasparente e uno
in vetro ossidiano sono stati rinvenuti in associazione ad uno scheletro
assai disturbato, con la testa rivolta a ovest (Fig. 7).
A non molta distanza
da questa sepoltura, sempre a livello di pavimento, sono state rinvenute
le tracce di un fuoco. Mancando qualsiasi connessione con ciò che
lo circonda è assai difficile stabilire da chi e in che momento
della storia della tomba sia stato acceso. Il fatto che all’interno dei
carboni vi fossero frammenti di ceramica potrebbe indicare che il fuoco
risalga ad un periodo abbastanza tardo della frequentazione della tomba
e sia forse da connettere proprio con le inumazioni effettuate in periodo
di pestilenza.
Il fatto che tutti gli ushabty di Harwa ritrovati all’interno della sua tomba (nel corso della presente campagna di scavo e della precedente) giacessero lungo il percorso assiale del monumento e ad una certa altezza dal livello del suolo potrebbe confermare l’ipotesi formulata in passato da J.J. Clère (BIFAO 34, 1934). Sulla base del ritrovamento di alcuni ushabty tra i rifiuti che colmavano il lago sacro di Medamud (località a circa km 15 a nord di Luxor), Clère afferma che gli ushabty di Harwa sarebbero stati prelevati dalla sua tomba in periodo tardoantico. Uno scavo di salvataggio
è stato condotto anche lungo la sommità del lato meridionale
del cortile della tomba. Qui si era sviluppato un fronte di frana che,
con le piogge torrenziali del 1994 aveva condotto alla formazione di un
cono di detriti di notevole entità all’interno dello stesso cortile.
Al fine di evitare il ripetersi di un tale fenomeno, il terreno soprastante
è stato lievemente terrazzato. Nel corso di questo scavo è
stata riportata alla luce una porzione della sommità del muro in
mattoni crudi della rampa di accesso al tempio funerario di Mentuhotep
II Nebpehetyra.
Attivita’ di restauro
Il metodo di pulizia delle pareti messo a punto nel corso della campagna
1996 dalla restauratrice Ilaria Perticucci si è dimostrato di estrema
efficacia e semplicità. È stato così possibile insegnarlo
ad un restauratore, messo a nostra disposizione dal Supreme Council of
Antiquities, e ad alcuni operai egiziani. È stato così possibile
creare una squadra di operai specializzati che potrà proseguire
la rimozione del guano di pipistrello dalle pareti della tomba con una
certa continuità negli anni a venire.
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